Nanotecnologie applicate alle energie rinnovabili

Nanotecnologia è qualcosa di più che una parola di moda: è il futuro. Negli ultimi anni gli scienziati hanno iniziato a scoprire che manipolando la materia nella scala dei nanometri (miliardesimi di metro) è possibile conferire ai materiali comuni delle nuove straordinarie proprietà.

La nanotecnologia è un campo sperimentale giovane, ma già oggi mostra enorme potenziale in tantissimi campi della scienza e della tecnologia. Medicina, ingegneria e persino l’industria dell’abbigliamento stanno beneficiando delle applicazioni pratiche delle nanotecnologie.

Perciò non deve stupire che la nanotecnologia possa aiutare a vincere una delle sfide più importanti dell’umanità: la ricerca dell’energia pulita.

Le nanotecnologie potrebbero rappresentare il futuro delle rinnovabili

Intercettare i raggi solari

Fino ad oggi la maggior parte delle ricerche che coinvolgono nanotecnologie e fonti rinnovabili sono state indirizzate all’energia solare. Negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati oltre 30 studi importanti sull’applicazione delle nanotecnologie nella produzione di energia solare — un numero maggiore di quelli dedicati nel complesso ad energia eolica, idroelettrica, da idrogeno, bioenergia ed energia geotermica messe insieme.

Uno dei maggiori limiti degli attuali apparecchi ad energia solare è l’efficienza: anche gli strumenti più moderni assorbono solo una minima parte della radiazione solare incidente, e solo una piccola parte di tale radiazione viene convertita in elettricità (il resto si perde sotto forma di calore e luce riflessa).

La maggior parte dei generatori solari attualmente utilizzati impiega celle solari basate su lunghi e sottili cristalli di silicio per convertire la luce solare in potenziale elettrico. Tali celle assorbono come massimo circa il 48 percento della radiazione solare incidente, di cui circa la metà viene convertita in elettricità.

Tuttavia recenti studi hanno dimostrato che le nanotecnologie possono aumentare in maniera sostanziale la capacità di assorbimento delle celle solari, sostituendo il silicio cristallino con silicio nanostrutturato.

Ad esempio, uno studio del 2008  della Stanford University ha evidenziato che celle solari composte da “nanofili ” e “nanoconi” di silicio possono assorbire circa il 90 percento della radiazione solare incidente (a determinati angoli di incidenza) — quasi il doppio della capacità di assorbimento delle celle a film sottile. Inoltre i nanomateriali usano solo l’uno percento della quantità di silicio necessaria per costruire una cella solare convenzionale, il che suggerisce l’ipotesi che le celle solari nanotecnologiche possano essere significativamente meno costose da produrre, oltre che essere più efficienti.

Uno studio successivo ha invece evidenziato come le celle solari nanotecnologiche possano essere ancora più efficienti. I ricercatori hanno costruito un prototipo di cella solare utilizzando nanofili in grado di assorbire fino al 96 percento dell’energia solare incidente. Un’altra ricerca della NASA ha poi evidenziato che nanotubi di carbonio, quando utilizzati come rivestimento del silicone, possono assorbire un incredibile 99 percento della luce ultravioletta, visibile, infrarossa e nell’infrarosso lontano che li colpisce.

Anche gli apparecchi che utilizzano liquidi per assorbire l’energia solare possono beneficiare di una dose di nanotecnologia. È stato evidenziato che “drogare” un liquido con nanoparticelle può incrementare significativamente la sua capacità di assorbire la radiazione solare e di conseguenza questi “nanofluidi” hanno attirato negli ultimi anni l’attenzione dei ricercatori nel campo dell’energia solare.

È incoraggiante notare come i risultati ottenuti siano sostanzialmente positivi. Dagli inizi degli anni ’10, numerosi team di ricercatori hanno dimostrato che sostituendo il fluido utilizzato nei collettori solari (tipicamente acqua) con un nanofluido, l’efficienza termica di questi apparecchi può essere incrementata fino all’88 percento (o di oltre il 200 percento alle temperature più elevate).

Nanotubi di carbonio al microscopio elettronico (credit: NASA Blueshift)

Oltre il solare

Ma anche altri tipi di energia rinnovabile trarranno beneficio dai nanofluidi.

Consideriamo ad esempio l’energia geotermica. Uno dei metodi usati per estrarre il calore geotermico prevede di iniettare un fluido freddo in rocce riscaldate naturalmente nel sottosuolo (generalmente in aree ricche di attività vulcanica), prima di estrarre il fluido (ora riscaldato) ed usarlo per generare elettricità.

I nanofluidi potrebbero incrementare le caratteristiche di inerzia termica dei fluidi utilizzati nell’estrazione geotermica, come avviene (in modo dimostrato) nella produzione di energia solare. Così gli impianti geotermici sarebbero in grado di estrarre più energia dal sottosuolo, in tal modo incrementando efficienza e profittabilità.

Nonostante queste prospettive, i ricercatori devono ancora valutare attraverso appositi esperimenti le potenzialità dei nanofluidi nell’industria geotermica.

Anche se le nanotecnologie possono essere un concetto futuristico nel settore geotermico, c’è un’altra fonte di energia rinnovabile che ne sta già sfruttando i benefici. L’idrogeno è uno degli elementi più abbondanti sulla Terra, e può essere utilizzato per produrre energia elettrica nelle celle a combustibile, il cui unico sottoprodotto è l’acqua. Oltre a bruciare in maniera pulita, l’idrogeno è un combustibile 2-3 volte più efficiente rispetto alla benzina e quindi è una delle nuove tecnologie energetiche più studiate.

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Però le celle a combustibile a idrogeno soffrono di alcuni fondamentali inconvenienti che attualmente impediscono l’utilizzo su vasta scala di questa tecnologia.

Uno dei più gravi di questi inconvenienti è la conservazione del combustibile. Per poter produrre energia dall’idrogeno in maniera conveniente l’idrogeno molecolare deve essere conservato in modo da poter essere liberato rapidamente durante la produzione di energia.

Qui entrano in scena le nanotecnologie. Una recente ricerca ha dimostrato che nanoparticelle sferiche “core-shell” possono essere un eccellente supporto per lo stoccaggio dell’idrogeno. Gli atomi di idrogeno si diffondono nel centro di queste nanosfere; tuttavia, grazie alle dimensioni estremamente ridotte di queste sfere e all’elevato rapporto fra superficie e volume, gli atomi rimangono sempre relativamente vicini alla superficie consentendo un rapido rilascio dell’idrogeno necessario alla produzione di elettricità.

Diversi tipi di nanomateriali possono essere adatti per lo stoccaggio dell’idrogeno. Numerosi studi hanno dimostrato che anche nanostrutture come “nanolame,” nanotubi di carbonio e nanofibre di carbonio possono essere dei supporti efficaci per la conservazione del carbonio.

Gli scienziati hanno appena iniziato a maneggiare i materiali in queste scale, e i risultati sono già incredibili, nelle energie rinnovabili come in altri campi di studio. Il meglio deve certamente ancora venire.

 

Fonte  eniday.com

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