Centoquindici anni or sono, esattamente il 30 giugno 1903, un giovane italiano ventenne viene condotto in treno a Chiasso per essere allontanato dal territorio elvetico. Il suo nome: Benito Mussolini, “figlio di Alessandro e di Rosa Maltoni, nato a Predappio (Forlì) il 29 luglio 1883”.
Le autorità cantonali bernesi lo avevano arrestato, schedato e fotografato come un comune delinquente e ne avevano decretato l’espulsione dal cantone.
Il futuro Duce era giunto in Svizzera il 9 luglio 1902, in cerca di lavoro. A Gualtieri (comune rosso dell’Emilia) era stato supplente in una classe elementare, ma l’incarico non gli era stato rinnovato per via della relazione intrecciata con una donna sposata il cui marito era sotto le armi.
Giunto in Svizzera con l’intenzione di recarsi a Ginevra, Mussolini soggiorna dapprima a Yverdon e a Orbe, dove lavora qualche giorno come manovale. Dopo pochi giorni approda a Losanna, e fa per la prima volta conoscenza con la polizia elvetica.
L’attivismo socialista
Rimesso in libertà, vivacchia lavorando come manovale o garzone e comincia e farsi notare quale agitatore socialista, conferenziere e pubblicista del giornale “L’Avvenire del lavoratore”, organo dei socialisti italiani in Svizzera.
Nella primavera del 1903 si trasferisce a Berna, dove la polizia lo arresta perché lo sospetta di aizzare i lavoratori italiani allo sciopero e alla rivolta. Consegnato alle autorità italiane a Chiasso, ritorna in Svizzera subito dopo (l’espulsione valeva soltanto per il Canton Berna) e si ferma a Bellinzona.
Nel luglio del 1903 prende la parola in alcuni comizi socialisti nella regione e tiene una conferenza sull’ateismo. Da questo momento il ministero pubblico della Confederazione lo segnala alle polizie cantonali quale “anarchico” da tener d’occhio.
Un dottorato honoris causa
Fine ottobre, torna a Predappio al capezzale della madre, gravemente ammalata. Poi rientra in Svizzera prima della fine del 1903, per non assolvere il servizio militare, e si reca a Ginevra.
Nell’aprile del 1904 evita l’espulsione e una condanna per renitenza alla leva, grazie all’intervento del Consiglio di Stato ticinese (vedi articolo in “Altri sviluppi”). Si trasferisce a Losanna, dove s’iscrive alla facoltà di scienze sociali e frequenta per alcuni mesi i corsi del sociologo Vilfredo Pareto.
Questo modesto trascorso accademico sarà all’origine del dottorato honoris causa, conferito al Duce nel 1937 dall’ateneo losannese.
Poco soddisfatto della sua vita di squattrinato errante in Svizzera, Mussolini rientra in Italia a fine novembre 1904. Condannato in contumacia come renitente alla leva, aveva beneficiato di un’amnistia in seguito alla nascita del principe ereditario Umberto di Savoia.
Esperienza che lo segna
I biografi di Mussolini hanno insistito sull’importanza del biennio elvetico nella sua formazione politica. Nel nostro paese prese dimestichezza con la propaganda e l’agitazione rivoluzionaria, ma sperimentò anche la dura condizione dell’emigrante, quotidianamente alle prese con la difficoltà di sbarcare il lunario.
Forse per questo scrisse in uno dei suoi commenti per “L’Avvenire del lavoratore”: “Con mezzi onesti oggi non è dato conseguire l’agiatezza. Gli uomini che compiono il proprio dovere, i professionisti che non leccano le pantofole ai superiori, i pubblicisti che non mungono alle poppe inesauste dei fondi segreti, tutti gli operai che non divengon sfruttatori dei compagni, vivono, la maggior parte nell’indigenza, il resto nella miseria”.
Mussolini compie altri soggiorni in Svizzera tra il 1908 e il 1910. A Lugano lavora come muratore sui cantieri stradali e ferroviari; qui conosce il leader socialista Guglielmo Canevascini che lo ospita in casa.
Nel 1910, il nome di Benito Mussolini “muratore, residente a Lugano”, figura anche sul registro dei forestieri in un albergo di San Bernardino.
In seguito, tornerà in Svizzera soltanto in veste di capo del governo italiano per partecipare a incontri internazionali, tra cui la celebre conferenza della pace di Locarno nel 1925.
fonte swissinfo.ch